Nell’ottobre scorso un’assemblea
di vescovi provenienti da tutto il mondo presieduta dal Papa ha discusso di “La
nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. Benedetto XI
ha correttamente sottolineato come “la nuova evangelizzazione debba essere
orientata principalmente alle persone che, pur essendo battezzate, si sono
allontanate dalla Chiesa, e vivono senza fare riferimento alla prassi
cristiana”. Ha poi aggiunto che “Il cristiano non deve essere tiepido”,
osservando come “Solo in questo accendere l’altro attraverso la fiamma della
nostra carità, cresce realmente l’evangelizzazione, la presenza del Vangelo,
che non è più solo parola, ma realtà vissuta”. Non vi sono quindi più popoli,
masse da evangelizzare ma persone alle quali annunciare il Vangelo e proprio a
partire dai c.d. Paesi di religione cattolica.
Sulla scia delle parole del Papa
l’assemblea ha convenuto circa la necessità di considerare cuore e segreto
della nuova evangelizzazione “l’assoluta centralità dell’esperienza personale e
comunitaria con il Signore risorto”. Nel Messaggio finale i vescovi si
richiamano al racconto evangelico della samaritana e osservano che “la Chiesa
sente di doversi sedere accanto agli uomini e alle donne di questo tempo, per
rendere presente il Signore nella loro vita, così che possano incontrarlo,
perché lui solo è l’acqua che dà la vita vera ed eterna”.
E’ un’immagine molto bella che,
per divenire realtà, sembra richiedere un rinnovamento profondo della Chiesa. I
singoli credenti devono chiedersi come possono diventare testimoni del Vangelo
ma occorre anche interrogarsi su quale immagine la Chiesa nel suo complesso offra
oggi concretamente di sé, come la sua presenza e il suo ruolo vengano percepiti
dalle persone alle quali si rivolge l’opera di evangelizzazione, a partire da
quelle che vivono nei Paesi occidentali.
Nei Paesi di antica tradizione
cristiana sembra prevalere il profilo istituzionale della Chiesa: un’organizzazione
sociale complessa che dialoga e si relaziona con le altre organizzazioni
sociali e con il potere civile. Della Chiesa traspare soprattutto la volontà di
garantire la coerenza delle strutture sociali, della legislazione, del costume
e della cultura con i fondamenti della fede cristiana. Questa almeno appare la
preoccupazione più evidente delle gerarchie ecclesiastiche che sembrano così privilegiare
un approccio dall’alto al problema dell’evangelizzazione. Vi è poi, certamente,
un approccio dal basso al tema dell’evangelizzazione che vede protagoniste
innanzitutto le parrocchie e poi le associazioni e i movimenti ecclesiali ma
che, almeno sul piano della comunicazione pubblica, è sovrastato e messo in
ombra dall’approccio dall’alto prima descritto.
Attraverso l’approccio dall’alto
le gerarchie ecclesiastiche, utilizzando la posizione di peculiare rilievo
sociale che la Chiesa ha progressivamente assunto nella sfera pubblica (si
pensi ai concordati), tentano di condizionare le soluzioni da dare ai principali
problemi etici e sociali propri della società contemporanea. In tal modo la
Chiesa propone un’immagine di sé che affonda le proprie radici in una storia
ormai remota, configurandosi come un articolato sistema dottrinale, etico e
sociale proteso a fornire una legittimazione morale dei costumi e della
legislazione. Certo, rispetto al passato, la Chiesa non pretende più di porsi
come unica fonte di legittimazione, come depositaria in via esclusiva di verità
che devono essere da tutti riconosciute, non potendo, in una società
democratica, che agire alla stregua di un’istanza, per quanto peculiare, tra le
altre, in grado di influenzare i poteri politici e sociali in misura diversa a
secondo dei contesti nazionali.
E’ questa, ad esempio, la linea
scelta dalla Chiesa italiana per l’affermazione dei c.d. valori non negoziabili
a livello sociale e politico e della legislazione. La sfida della nuova
evangelizzazione induce oggi a fare un bilancio, proprio in questa prospettiva,
di tale scelta che ha delle evidenti ricadute anche sul piano pastorale.
L’intervento nel dibattito
pubblico della Chiesa ha verosimilmente influito su determinate scelte e,
soprattutto, su alcune “non scelte” del legislatore. In materia di fecondazione
assistita la legislazione nazionale è estremamente rigorosa e, di fatto, rende
estremamente complicato il ricorso a tale pratica. In Italia manca qualsiasi
forma di regolamentazione delle convivenze tra persone omosessuali, non è stata
adottata una legislazione in materia di fine vita e le procedure di divorzio
sono, anche a causa dello stato complessivo della giurisdizione, estremamente lunghe
e complesse. La legislazione in materia di aborto attribuisce, almeno sulla
carta, una certa considerazione al nascituro e intende assicurare ad ogni donna
il diritto a mettere al mondo i figli concepiti. Sempre riguardo all’aborto, la
legislazione sancisce il diritto all’obiezione di coscienza del personale
sanitario e riconosce un ruolo alle associazioni volte a tutelare la maternità,
al fine di evitare che l’interruzione della gravidanza sia frutto esclusivamente
della disperazione o dell’indigenza. La legislazione in materia di sostegno
alle famiglie è tradizionalmente carente e assicura livelli di tutela
decisamente inferiori rispetto a quelli garantiti da numerosi Paesi europei.
A fronte di tali risultati,
nell’insieme non particolarmente significativi, occorre considerare quali
reazioni determina una siffatta linea di condotta del magistero. Le decise e ripetute prese di posizione delle
gerarchie ecclesiastiche sono avvertite come indebite interferenze da vasti
settori del mondo laico. Gli interventi di natura politica del magistero, in
quanto esplicitamente volti a condizionare l’operato dei rappresentanti
politici e a promuovere ovvero a scongiurare l’adozione di determinati
provvedimenti legislativi, delimitando il perimetro delle forze politiche
autorizzate o professarsi di ispirazione cattolica, determinano una presa di
distanza di molte persone dalla Chiesa e l’abbandono o comunque il rifiuto delle
pratiche della fede. La contestazione nei confronti della Chiesa ha ad oggetto
non solo il merito ma anche il metodo utilizzato, ritenendo che vengano lesi la
laicità dello Stato e i principi democratici. Oggetto di contestazioni non sono
il diritto della Chiesa di pronunciarsi su questioni attinenti alla morale dei
propri fedeli e di promuovere i propri valori nella sfera pubblica ma la
pressione di natura etica esercitata sui responsabili della cosa pubblica e gli
interventi diretti a condizionare specifiche scelte di carattere politico. Chiaramente
orientata in tale direzione è stata, ad esempio, la condotta delle gerarchie
ecclesiastiche in occasione della discussione pubblica e delle scelte di ordine
legislativo relative alla fecondazione assistita. E’ sufficiente ricordare le
prese di posizione in ordine ad aspetti particolari della normativa quali il
numero degli embrioni da impiantare e la facoltà o meno di ricorrere alla
diagnosi pre-impianto sino alla sollecitazione ad astenersi dalla partecipazione
al referendum abrogativo. Le critiche possono risultare eccessive e, in taluni
casi, appaiono il frutto di un pregiudizio anticlericale, ma non vi è dubbio
che simili interventi del magistero appaiono poco in sintonia con la
sensibilità di società laiche e pluraliste.
A riguardo vi è da chiedersi se,
proprio al fine di promuovere una nuova evangelizzazione, non sia opportuno ribadire
l’impostazione fatta propria dal Concilio Vaticano II che assegna al magistero
il compito di esprimersi in materia di fede e di enunciare i principi di
carattere morale, ma affida poi ai fedeli laici la responsabilità di
individuare in autonomia, tenendo conto dei particolari contesti politici e
sociali, le soluzioni pratiche ispirate ai valori cristiani. Adottare un simile
atteggiamento farebbe tra l’altro emergere con ancora maggiore evidenza come,
tra gli stessi cattolici, la condivisione di determinati valori non esclude
visioni parzialmente diverse di determinati problemi di natura etica. In tal
modo il dibattito pubblico verrebbe effettivamente arricchito ed i cattolici
avrebbe probabilmente un ruolo più rilevante e significativo nel delineare
soluzioni in grado di acquisire la maggioranza dei consensi in società
caratterizzate da un marcato pluralismo.
L’adesione all’impostazione
conciliare del rapporto tra magistero e responsabilità dei fedeli laici
implicherebbe inoltre la scelta di fare affidamento sulle concrete esperienze
di testimonianza e di affermazione dei valori cristiani relativi al rispetto e
promozione della vita, alla tutela della famiglia, alla solidarietà con i
deboli promosse da una pluralità di realtà e da migliaia di credenti e che
costituiscono il più potente strumento di evangelizzazione perché fondato sul
concreto esercizio della carità. Emergerebbe tra l’altro, al di là delle
affermazioni di principio, la difficoltà che la stessa Chiesa incontra nel
promuovere un’efficace pastorale familiare, con particolare riferimento alle
persone separate e divorziate e a quelle risposate nonché ai rispettivi figli,
che sperimentano spesso una condizione di emarginazione rispetto alla comunità
ecclesiale. La stessa solidità dei matrimoni cristiani appare messa in crisi,
assai più che dalle decisioni e dalle omissioni dei governanti, dalla debolezza
dell’annuncio e dalla difficoltà che la stessa comunità ecclesiale incontra
nell’ educare alla relazione, all’amore oblativo, alla responsabilità,
all’autonomia, ad una affettività autentica, in modo da rendere le famiglie
luoghi di effettiva promozione e crescita delle persone.
L’affermazione di uno stile
schiettamente evangelico nell’affermazione dei valori cristiani non potrebbe
che recare benefici alla Chiesa, non solo e non tanto sotto il profilo
dell’immagine ma in quanto determinerebbe una ridefinizione, in concreto, delle
priorità e della pastorale nel suo complesso. Nel corso della drammatica
vicenda di Eluana Englaro, la testimonianza evangelica più efficace è venuta da
quelle suore che, sino a quando la famiglia ha voluto, si sono prese cura di lei,
e non certo dai gruppi di cattolici fondamentalisti che hanno organizzato
manifestazioni di piazza dando dell’assassino al padre di Eluana.
L’urgenza di una nuova
evangelizzazione impone di riflettere sull’immagine focalizzata sui
pronunciamenti di carattere morale che i mezzi di comunicazione di massa
diffondono della Chiesa nonché, e si tratta di un altro aspetto delicatissimo,
sull’applicazione del regime concordatario, dalla disciplina dell’insegnamento
della religione cattolica, al regime delle imposte sugli immobili sino all’autonomia
riconosciuta agli istituti bancari della Santa Sede. La centralità attribuita a
questi aspetti offusca il volto più vero della Chiesa costituito dalla
testimonianza di fede offerta da tanti credenti di ogni condizione sociale nei
contesti più disparati, dalle forme di spiritualità che corrispondono a bisogni
fondamentali della contemporaneità, dalle molteplici espressioni di servizio al
prossimo proprie delle realtà parrocchiali, dalle esperienze di solidarietà e
di tutela dei più deboli che connotano il tessuto ecclesiale.
Ancora una volta si rivelerebbe
di aiuto riprendere la discussione conciliare sulla povertà della Chiesa e
sull’opportunità di rinunciare ad ogni privilegio o, comunque, ad ogni
condizione avvertita come tale dalla pubblica opinione, al fine di assicurare una
reale priorità all’essenza del messaggio cristiano e di fare risuonare più
forti e credibili le parole del Vangelo “beati i poveri…”.
L’intervento “dall’alto” che hai evidenziato è prevalente nella Chiesa perché essa non affida ai laici il compito di animare il confronto sui temi etici a livello sociale e politico. La Chiesa teme infatti di perderne il controllo e privilegia l’approccio autoritario o di influenza nei confronti di quelle elite che le sono più vicine.
RispondiEliminaE’ un comportamento che ha importanti conseguenze, come dimostra il raffreddamento (per non dire l’allontanamento) dei molti che, pur disposti a dare il proprio contributo, restano delusi in quanto poco ascoltati o comunque marginalizzati anche in quei contesti parrocchiali dove l’essere allineati con il vertice è più importante che ascoltare le voci di chi ogni giorno si trova a rispondere responsabilmente alle scelte che la vita gli mette davanti.
Il modello di uomo che la Chiesa oggi propone è quello del supereroe, capace di dire no con ferrea volontà a tutto ciò che sembra allontanarsi dal proprio orizzonte precostituito, senza entrare nel merito delle tante e diverse particolarità che caratterizzano ogni situazione reale. Ma è proprio il supereroe che oggi appare sempre più lontano dallo stile di vita incarnato da Gesù, umile tra gli umili e disponibile all’ascolto del più piccolo; morale è la Sua statura e non la Sua autorità.