sabato 5 gennaio 2013

Il sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione: premesse corrette, ma le conseguenze ?


Nell’ottobre scorso un’assemblea di vescovi provenienti da tutto il mondo presieduta dal Papa ha discusso di “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. Benedetto XI ha correttamente sottolineato come “la nuova evangelizzazione debba essere orientata principalmente alle persone che, pur essendo battezzate, si sono allontanate dalla Chiesa, e vivono senza fare riferimento alla prassi cristiana”. Ha poi aggiunto che “Il cristiano non deve essere tiepido”, osservando come “Solo in questo accendere l’altro attraverso la fiamma della nostra carità, cresce realmente l’evangelizzazione, la presenza del Vangelo, che non è più solo parola, ma realtà vissuta”. Non vi sono quindi più popoli, masse da evangelizzare ma persone alle quali annunciare il Vangelo e proprio a partire dai c.d. Paesi di religione cattolica.
Sulla scia delle parole del Papa l’assemblea ha convenuto circa la necessità di considerare cuore e segreto della nuova evangelizzazione “l’assoluta centralità dell’esperienza personale e comunitaria con il Signore risorto”. Nel Messaggio finale i vescovi si richiamano al racconto evangelico della samaritana e osservano che “la Chiesa sente di doversi sedere accanto agli uomini e alle donne di questo tempo, per rendere presente il Signore nella loro vita, così che possano incontrarlo, perché lui solo è l’acqua che dà la vita vera ed eterna”.
E’ un’immagine molto bella che, per divenire realtà, sembra richiedere un rinnovamento profondo della Chiesa. I singoli credenti devono chiedersi come possono diventare testimoni del Vangelo ma occorre anche interrogarsi su quale immagine la Chiesa nel suo complesso offra oggi concretamente di sé, come la sua presenza e il suo ruolo vengano percepiti dalle persone alle quali si rivolge l’opera di evangelizzazione, a partire da quelle che vivono nei Paesi occidentali.
Nei Paesi di antica tradizione cristiana sembra prevalere il profilo istituzionale della Chiesa: un’organizzazione sociale complessa che dialoga e si relaziona con le altre organizzazioni sociali e con il potere civile. Della Chiesa traspare soprattutto la volontà di garantire la coerenza delle strutture sociali, della legislazione, del costume e della cultura con i fondamenti della fede cristiana. Questa almeno appare la preoccupazione più evidente delle gerarchie ecclesiastiche che sembrano così privilegiare un approccio dall’alto al problema dell’evangelizzazione. Vi è poi, certamente, un approccio dal basso al tema dell’evangelizzazione che vede protagoniste innanzitutto le parrocchie e poi le associazioni e i movimenti ecclesiali ma che, almeno sul piano della comunicazione pubblica, è sovrastato e messo in ombra dall’approccio dall’alto prima descritto.
Attraverso l’approccio dall’alto le gerarchie ecclesiastiche, utilizzando la posizione di peculiare rilievo sociale che la Chiesa ha progressivamente assunto nella sfera pubblica (si pensi ai concordati), tentano di condizionare le soluzioni da dare ai principali problemi etici e sociali propri della società contemporanea. In tal modo la Chiesa propone un’immagine di sé che affonda le proprie radici in una storia ormai remota, configurandosi come un articolato sistema dottrinale, etico e sociale proteso a fornire una legittimazione morale dei costumi e della legislazione. Certo, rispetto al passato, la Chiesa non pretende più di porsi come unica fonte di legittimazione, come depositaria in via esclusiva di verità che devono essere da tutti riconosciute, non potendo, in una società democratica, che agire alla stregua di un’istanza, per quanto peculiare, tra le altre, in grado di influenzare i poteri politici e sociali in misura diversa a secondo dei contesti nazionali.
E’ questa, ad esempio, la linea scelta dalla Chiesa italiana per l’affermazione dei c.d. valori non negoziabili a livello sociale e politico e della legislazione. La sfida della nuova evangelizzazione induce oggi a fare un bilancio, proprio in questa prospettiva, di tale scelta che ha delle evidenti ricadute anche sul piano pastorale.
L’intervento nel dibattito pubblico della Chiesa ha verosimilmente influito su determinate scelte e, soprattutto, su alcune “non scelte” del legislatore. In materia di fecondazione assistita la legislazione nazionale è estremamente rigorosa e, di fatto, rende estremamente complicato il ricorso a tale pratica. In Italia manca qualsiasi forma di regolamentazione delle convivenze tra persone omosessuali, non è stata adottata una legislazione in materia di fine vita e le procedure di divorzio sono, anche a causa dello stato complessivo della giurisdizione, estremamente lunghe e complesse. La legislazione in materia di aborto attribuisce, almeno sulla carta, una certa considerazione al nascituro e intende assicurare ad ogni donna il diritto a mettere al mondo i figli concepiti. Sempre riguardo all’aborto, la legislazione sancisce il diritto all’obiezione di coscienza del personale sanitario e riconosce un ruolo alle associazioni volte a tutelare la maternità, al fine di evitare che l’interruzione della gravidanza sia frutto esclusivamente della disperazione o dell’indigenza. La legislazione in materia di sostegno alle famiglie è tradizionalmente carente e assicura livelli di tutela decisamente inferiori rispetto a quelli garantiti da numerosi Paesi europei.
A fronte di tali risultati, nell’insieme non particolarmente significativi, occorre considerare quali reazioni determina una siffatta linea di condotta del  magistero. Le decise e ripetute prese di posizione delle gerarchie ecclesiastiche sono avvertite come indebite interferenze da vasti settori del mondo laico. Gli interventi di natura politica del magistero, in quanto esplicitamente volti a condizionare l’operato dei rappresentanti politici e a promuovere ovvero a scongiurare l’adozione di determinati provvedimenti legislativi, delimitando il perimetro delle forze politiche autorizzate o professarsi di ispirazione cattolica, determinano una presa di distanza di molte persone dalla Chiesa e l’abbandono o comunque il rifiuto delle pratiche della fede. La contestazione nei confronti della Chiesa ha ad oggetto non solo il merito ma anche il metodo utilizzato, ritenendo che vengano lesi la laicità dello Stato e i principi democratici. Oggetto di contestazioni non sono il diritto della Chiesa di pronunciarsi su questioni attinenti alla morale dei propri fedeli e di promuovere i propri valori nella sfera pubblica ma la pressione di natura etica esercitata sui responsabili della cosa pubblica e gli interventi diretti a condizionare specifiche scelte di carattere politico. Chiaramente orientata in tale direzione è stata, ad esempio, la condotta delle gerarchie ecclesiastiche in occasione della discussione pubblica e delle scelte di ordine legislativo relative alla fecondazione assistita. E’ sufficiente ricordare le prese di posizione in ordine ad aspetti particolari della normativa quali il numero degli embrioni da impiantare e la facoltà o meno di ricorrere alla diagnosi pre-impianto sino alla sollecitazione ad astenersi dalla partecipazione al referendum abrogativo. Le critiche possono risultare eccessive e, in taluni casi, appaiono il frutto di un pregiudizio anticlericale, ma non vi è dubbio che simili interventi del magistero appaiono poco in sintonia con la sensibilità di società laiche e pluraliste.
A riguardo vi è da chiedersi se, proprio al fine di promuovere una nuova evangelizzazione, non sia opportuno ribadire l’impostazione fatta propria dal Concilio Vaticano II che assegna al magistero il compito di esprimersi in materia di fede e di enunciare i principi di carattere morale, ma affida poi ai fedeli laici la responsabilità di individuare in autonomia, tenendo conto dei particolari contesti politici e sociali, le soluzioni pratiche ispirate ai valori cristiani. Adottare un simile atteggiamento farebbe tra l’altro emergere con ancora maggiore evidenza come, tra gli stessi cattolici, la condivisione di determinati valori non esclude visioni parzialmente diverse di determinati problemi di natura etica. In tal modo il dibattito pubblico verrebbe effettivamente arricchito ed i cattolici avrebbe probabilmente un ruolo più rilevante e significativo nel delineare soluzioni in grado di acquisire la maggioranza dei consensi in società caratterizzate da un marcato pluralismo.
L’adesione all’impostazione conciliare del rapporto tra magistero e responsabilità dei fedeli laici implicherebbe inoltre la scelta di fare affidamento sulle concrete esperienze di testimonianza e di affermazione dei valori cristiani relativi al rispetto e promozione della vita, alla tutela della famiglia, alla solidarietà con i deboli promosse da una pluralità di realtà e da migliaia di credenti e che costituiscono il più potente strumento di evangelizzazione perché fondato sul concreto esercizio della carità. Emergerebbe tra l’altro, al di là delle affermazioni di principio, la difficoltà che la stessa Chiesa incontra nel promuovere un’efficace pastorale familiare, con particolare riferimento alle persone separate e divorziate e a quelle risposate nonché ai rispettivi figli, che sperimentano spesso una condizione di emarginazione rispetto alla comunità ecclesiale. La stessa solidità dei matrimoni cristiani appare messa in crisi, assai più che dalle decisioni e dalle omissioni dei governanti, dalla debolezza dell’annuncio e dalla difficoltà che la stessa comunità ecclesiale incontra nell’ educare alla relazione, all’amore oblativo, alla responsabilità, all’autonomia, ad una affettività autentica, in modo da rendere le famiglie luoghi di effettiva promozione e crescita delle persone.
L’affermazione di uno stile schiettamente evangelico nell’affermazione dei valori cristiani non potrebbe che recare benefici alla Chiesa, non solo e non tanto sotto il profilo dell’immagine ma in quanto determinerebbe una ridefinizione, in concreto, delle priorità e della pastorale nel suo complesso. Nel corso della drammatica vicenda di Eluana Englaro, la testimonianza evangelica più efficace è venuta da quelle suore che, sino a quando la famiglia ha voluto, si sono prese cura di lei, e non certo dai gruppi di cattolici fondamentalisti che hanno organizzato manifestazioni di piazza dando dell’assassino al padre di Eluana.
L’urgenza di una nuova evangelizzazione impone di riflettere sull’immagine focalizzata sui pronunciamenti di carattere morale che i mezzi di comunicazione di massa diffondono della Chiesa nonché, e si tratta di un altro aspetto delicatissimo, sull’applicazione del regime concordatario, dalla disciplina dell’insegnamento della religione cattolica, al regime delle imposte sugli immobili sino all’autonomia riconosciuta agli istituti bancari della Santa Sede. La centralità attribuita a questi aspetti offusca il volto più vero della Chiesa costituito dalla testimonianza di fede offerta da tanti credenti di ogni condizione sociale nei contesti più disparati, dalle forme di spiritualità che corrispondono a bisogni fondamentali della contemporaneità, dalle molteplici espressioni di servizio al prossimo proprie delle realtà parrocchiali, dalle esperienze di solidarietà e di tutela dei più deboli che connotano il tessuto ecclesiale.
Ancora una volta si rivelerebbe di aiuto riprendere la discussione conciliare sulla povertà della Chiesa e sull’opportunità di rinunciare ad ogni privilegio o, comunque, ad ogni condizione avvertita come tale dalla pubblica opinione, al fine di assicurare una reale priorità all’essenza del messaggio cristiano e di fare risuonare più forti e credibili le parole del Vangelo “beati i poveri…”.