venerdì 28 dicembre 2012

"Il cristiano di fede adulta e matura non è colui che segue le onde della moda, ma colui che vive profondamente radicato nell’amicizia di Cristo"


"... contro un diffuso relativismo che nulla riconosce come definitivo e anzi tende ad erigere a misura ultima l’io personale e i suoi capricci, noi proponiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, che è anche vero uomo. È Lui la misura del vero umanesimo..."

Questo blog nasce per iniziativa di un gruppo di amici convinti che il Vangelo di Gesù Cristo, quelle parole pronunciate oltre 2000 anni a compimento della storia dell’antico Israele, rappresentino una risposta alle attese ed alle angosce delle donne e degli uomini del nostro tempo.

Constatiamo, tuttavia, che questa buona notizia fa oggi terribilmente fatica a risuonare come tale e che occorre trovare forme e modi nuovi per vivere e comunicarla nella società post moderna. Nella seconda metà del XX secolo la storia ha subito un'accelerazione impressionante che ha fatto e fa apparire le religioni e le fedi come retaggi del passato, espressioni di tradizioni impegnate a difendere una concezione statica della vita e dei rapporti sociali. Quello attuale è un mondo propenso a fidarsi esclusivamente della razionalità della ragione, fondato sul pensiero scientifico e incline a relegare il sacro nella sfera dell’irrazionale, del mito, in una parola del pre moderno.

In particolare, ciò che sembra privare le esperienze religiose di attualità è la loro asserita pretesa di omologare i comportamenti e le scelte di vita delle persone, di indicare delle strade uniformi di affermazione dei valori umani fondamentali a livello individuale e collettivo. All’opposto, la caratteristica forse più evidente della società in cui viviamo è proprio l’affermazione dell’individuo, della libertà e dei diritti individuali come obiettivo fondamentale e prioritario al quale orientare le dinamiche sociali e subordinare ogni altro tipo di valutazione.
Per dirla in parole semplici, alle religioni viene imputata la negazione dell’autonomia degli individui, la pretesa di limitare la libertà delle persone sulla base di valori che si vorrebbero trascendenti ma che altro non sono se non regole provenienti da culture del passato, intrise di pregiudizi e prive di razionalità.
La secolarizzazione non è un fenomeno banale e non si può liquidare con poche battute, ma richiede un confronto ed un approfondimento estremamente serio e puntuale. Tutte le fedi, tutte le Chiese devono accettare la sfida, sostanzialmente positiva, che proviene loro dalla post modernità.

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, nella quale ci riconosciamo, il punto di partenza, il presupposto fondamentale per cimentarsi con la contemporaneità è  rappresentato dal Concilio Vaticano II, un evento per molti aspetti unico nella storia della Chiesa, risalente oramai a cinquant’anni fa ma che ha saputo definire con chiarezza i caratteri fondamentali e gli obiettivi della Chiesa del futuro.

Il Concilio, si è rivelato capace di guardare lontano e di fornire risposte prima che le dinamiche della secolarizzazione risultassero a tutti evidenti e rappresenta pertanto un tesoro prezioso che non va messo sottoterra ma speso con generosità e coraggio perché possa dare frutto.

Ma cosa ha voluto dire ai cattolici, ai cristiani, a tutti i credenti e al mondo intero il Concilio? Consentitemi l’arbitrio di una sintesi, per quanto incompleta e sicuramente contestabile.

Un primo messaggio fondamentale riguarda il rapporto con la contemporaneità. Al mondo, ai cambiamenti sociali, culturali, politici occorre guardare con fiducia e speranza, è necessario comprendere e non condannare, aprirsi al nuovo e non arroccarsi nella tradizione.

Il concetto è stato espresso mirabilmente dal papa Paolo VI proprio nel discorso conclusivo del Concilio che riflette tutto l’entusiasmo e il dinamismo di cui quell’assise era pervasa: “Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo moderno. Mai forse come in questa occasione la Chiesa ha sentito il bisogno di conoscere, di avvicinare,di comprendere, di penetrare, di servire, di evangelizzare la società circostante e di coglierla, quasi di rincorrerla nel suo rapido e continuo mutamento.”  Queste parole, che non manifestano un ottimismo ingenuo ma indicano la strada da percorrere alla Chiesa del futuro, possono essere meglio comprese se accostate a quelle di Giovanni XXIII, il papa che ebbe il coraggio di convocare il Concilio, quando metteva in guardia dai “profeti di sventura” e osservava che “non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”.

Questo sguardo sul mondo proprio del Concilio è declinato da tutti i documenti conciliari, segnando un rinnovamento fondamentale nella storia della Chiesa..

La Gaudium e spes è la costituzione conciliare che riguarda specificamente il rapporto della Chiesa con il mondo contemporaneo e chiama i cristiani a condividere le ansie e le speranze degli uomini d’oggi, compiendo un’analisi attenta delle potenzialità e dei rischi della storia presente e invitando a coinvolgersi  ed a partecipare ai processi storici positivi di crescita e di liberazione dell’uomo.

In numerosi documenti conciliari il rapporto con gli “altri” viene profondamente ripensato.  Il Concilio segna la riconciliazione con gli ebrei quando, sino al 1959, il Venerdì santo, in tutte le chiese si pregava pro perfidis Iudaeis.  Afferma, segnando una netta discontinuità con la storia pregressa della Chiesa, il valore della libertà religiosa e affronta con un’apertura senza precedenti il tema dei rapporti con le religioni non cristiane.  Infine, fa dell’ecumenismo, ossia dell’unità dei cristiani sulla base del mutuo riconoscimento e del rispetto reciproco, un obiettivo irrinunciabile al quale la Chiesa deve tendere con tutte le sue forze.

Durante il Concilio emerge anche una nuova visione della stessa Chiesa, intesa non più solo prevalentemente nella sua dimensione istituzionale e giuridica ma, in primo luogo (questa appare almeno la definizione maggiormente innovativa della Chiesa), come popolo di Dio in cammino, secondo una visione che mette al centro l’esperienza di fede personale e comunitaria.

Ma, forse, ancora più innovativo o, meglio, alla base di tutte le riforme conciliari, è la riscoperta e la nuova centralità attribuita alla parola di Dio nella vita della Chiesa e dei singoli credenti. Fino ad allora la lettura personale della Bibbia era considerato un tratto tipico del protestantesimo e guardata con diffidenza nell’ambito della Chiesa. Il primato della Parola tra le “fonti della rivelazione” finisce anche per condizionare la visione stessa della tradizione e del magistero.

Un passaggio della costituzione conciliare “Dei verbum”, riflette bene questi germi di un profondo cambiamento introdotti nel corpo ecclesiale dal Concilio: “”Questa tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse,sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (Lc 2,19 e 51), sia con l’intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio”.

Le parole evidenziate esprimono una concezione dinamica e non statica dell’esperienza di fede personale e comunitaria. La verità sta sempre davanti alla Chiesa, che la cerca incessantemente, che ad essa si avvicina, che in essa progredisce attraverso l’esperienza di tutti i credenti sotto la guida dei pastori. Ma la stessa Chiesa, che in tal modo risulta tra l’altro associata all’umanità anch’essa in ricerca e in continuo sviluppo, questa verità non la possiede in modo perfetto e indefettibile. 

La verità è Cristo che conosciamo attraverso la Parola ed al quale dobbiamo fare costantemente riferimento cercando di comprendere sempre meglio quale sia la volontà del Padre.

I credenti vivono nella storia, condividono le esperienze di tutti gli uomini, soffrono e gioiscono con loro. Ogni generazione è chiamata a comprendere meglio il Vangelo, a viverlo rendendolo attuale ed effettivamente in grado di comunicare una buona notizia ai propri contemporanei.

Vivere il Vangelo nella storia vuol dire fare i conti con i cambiamenti culturali, con il progresso scientifico, con l’evoluzione dei rapporti sociali e degli stili di vita. La Chiesa e i cristiani non devono avere paura e chiudersi in una sorta di cittadella fortificata ma, all’opposto, secondo un'altra famosa espressione conciliare sono impegnati ad interpretare “i segni dei tempi”, dei mutamenti e delle trasformazioni, perché le parole di Cristo non passano ma le concrete realizzazioni storiche, parti della tradizione e della dottrina possono e debbono essere riviste alla luce di un cammino comune che i cristiani compiono con tutti gli uomini.
Solo così , verrebbe da dire, si rimane realmente fedeli al Vangelo, mentre può esservi infedeltà nel rimanere legati al passato per incapacità di aggiornamento e di ascolto dell’altro, tradendo in tal modo una verità che va incarnata e vissuta nella storia.

Anche un blog può essere di aiuto a vivere un’esperienza matura di fede e di Chiesa, ad assumersi le proprie responsabilità di credenti, a comunicare e a condividere la propria esperienza di fede, la propria visione dei problemi con chi lo desidera. 

Un altro grande tema del Concilio è stato quello del ruolo dei laici nella Chiesa ed il blog è intende mettersi a servizio della laicità e mettere la laicità a servizio della Chiesa.
Gli Atti degli apostoli descrivono la vita della prima comunità cristiana: il ritrovarsi insieme, lo spezzare il pane, l’accogliere nuovi membri della comunità. Oggi un blog è un modo in cui si può fare comunità, incontrarsi e capirsi, aprirsi al dialogo e al confronto con altre persone di idee diverse.


sabato 15 dicembre 2012

Gli incontri con Don Enrico

In questa settimana ha compiuto 100 anni Don Arturo Paoli che ha voluto gratificare i suoi amici con una bellissima lettera di ringraziamento per gli auguri che ha ricevuto da moltissime persone che lo amano
Mi ha colpito in questa lettera la sua preoccupazione per la frammentazione del mondo e il suo invito a cercare di superarla incontrandosi ....

" ... vorrei chiudere questi pensieri con alcuni suggerimenti che sottometto alla vostra critica. Il primo è quello di contrastare la frantumazione egoistica prodotta dagli strumenti della tecnica, con l’appello a incontri di gruppo che abbiano motivazioni politiche, religiose o di altro genere. Favorire queste riunioni motivandole con argomenti che possano interessare. Trovare tutto quello che può favorire il superamento della frantumazione egoistica. Volere a tutti i costi il rinnovamento di questa società che sembra immersa in una palude...."

Mi ha colpito perché anche se non con questa consapevolezza rispetto ad un fenomeno planetario, è un pò di tempo che con un gruppo di amici ci riuniamo insieme a Don Enrico per riflettere sulla Parola, per confrontarci, per curare e conservare e non far frantumare lo spirito e la condivisione di vita che c'era stata fra di noi

La storia è lunga ma penso che l'invito di Don Arturo sia stato l'ultimo degli stimoli che ci mancava per aprire questo blog che vuole essere un modo di condividere le riflessioni e il commino che questo piccolo gruppo di persone ha cominciato a fare

il cammino comincia ......