domenica 3 febbraio 2013

Convertirsi all'ospitalità: l'esperienza di Taizé a Roma

E' passato un mese dal 35° Incontro Europeo promosso dalla Comunità di Taizé che ha portato a Roma 35.000 giovani da tutto il continente e anche oltre. Qualcuno forse ricorderà gli altri incontri di Roma nel 1980, 1982 e l'ultimo nel 1987, venticinque anni fa! Le parrocchie ospitanti (poco più della metà, nonostante l'impegno della diocesi) sono state animate al mattino dalle caratteristiche preghiere fatte di canti, meditazioni e silenzio; al pomeriggio gruppi tematici e due  preghiere comuni nelle basiliche gremite di giovani seduti in terra. Alla fine, con una punta di rammarico degli organizzatori, più di 2000 ragazzi non hanno trovato ospitalità nelle famiglie o nelle parrocchie ed hanno dovuto utilizzare gli spazi della vecchia Fiera di Roma messi a disposizione dal Comune. Le meditazioni di Frère Alois, successore di frère Roger ucciso in preghiera nella sua chiesa all'età di 90 anni, hanno accompagnato i giovani nelle riflessioni del mattino, e piene di speranza ecumenica sono state le sue parole rivolte a Papa Benedetto XVI in occasione della preghiera comune in piazza S. Pietro

Santissimo Padre, oggi si realizza una tappa importante del nostro «pellegrinaggio di fiducia sulla terra». Siamo venuti da tutta l’Europa e da altri continenti, apparteniamo a confessioni diverse. Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci separa: ci uniscono un solo Battesimo e la stessa Parola di Dio. Questa sera siamo venuti intorno a Lei a celebrare questa unità, vera anche se non ancora pienamente compiuta. È guardando insieme verso Cristo che essa si approfondisce. Frère Roger ha lasciato in eredità alla nostra comunità la sua preoccupazione di trasmettere il Vangelo, particolarmente ai giovani. Era davvero cosciente che le separazioni fra i cristiani sono un ostacolo alla trasmissione della fede. Ha aperto percorsi di riconciliazione che non abbiamo ancora finito di esplorare. Ispirati dalla sua testimonianza, moltissimi sono coloro che vorrebbero anticipare la riconciliazione attraverso la loro vita, vivere già da riconciliati. Dei cristiani riconciliati possono diventare testimoni di pace e di comunione, portatori di una nuova solidarietà fra tutta l’umanità. La ricerca di una relazione personale con Dio è il fondamento di questo passo. Questo ecumenismo della preghiera non incoraggia una facile tolleranza. Favorisce un reciproco ascolto e un dialogo vero (...)". 

Molto affettuosa e impegnativa per tutti la replica del Papa, dopo un indimenticabile momento di silenzio di una piazza gremita e raccolta in preghiera attorno a Lui e alla Comunità di Taizé, con la luna piena che lentamente si affacciava dal colonnato...:

Grazie, caro Fratello Alois, per le Sue parole calorose e piene di affetto. Cari giovani, cari pellegrini della fiducia, benvenuti a Roma! (...) Testimone instancabile del Vangelo della pace e della riconciliazione, animato dal fuoco di un ecumenismo della santità, Fratel Roger ha incoraggiato tutti coloro che passano per Taizé a diventare dei cercatori di comunione. Lo dissi all’indomani della sua morte: «Dovremmo ascoltare dal di dentro il suo ecumenismo vissuto spiritualmente e lasciarci condurre dalla sua testimonianza verso un ecumenismo veramente interiorizzato e spiritualizzato». Sulle sue orme, siate tutti portatori di questo messaggio di unità. Vi assicuro dell’impegno irrevocabile della Chiesa cattolica a proseguire la ricerca di vie di riconciliazione per giungere all’unità visibile dei cristiani. E questa sera vorrei salutare con affetto tutto particolare quanti tra voi sono ortodossi o protestanti (...). Tornando a casa, nei vostri diversi Paesi, vi invito a scoprire che Dio vi fa corresponsa-bili della sua Chiesa, in tutta la varietà delle vocazioni. Questa comunione che è il Corpo di Cristo ha bisogno di voi e voi avete in esso tutto il vostro posto. A partire dai vostri doni, da ciò che è specifico di ognuno di voi, lo Spirito Santo plasma e fa vivere questo mistero di comunione che è la Chiesa, al fine di trasmettere la buona novella del Vangelo al mondo di oggi (...). Cari giovani amici, Cristo non vi toglie dal mondo. Vi manda là dove la luce manca, perché la portiate ad altri. Sì, siete tutti chiamati ad essere delle piccole luci per quanti vi circondano. Con la vostra attenzione a una più equa ripartizione dei beni della terra, con l’impegno per la giustizia e per una nuova solidarietà umana, voi aiuterete quanti sono intorno a voi a comprendere meglio come il Vangelo ci conduca al tempo stesso verso Dio e verso gli altri. Così, con la vostra fede, contribuirete a far sorgere la fiducia sulla terra. Siate pieni di speranza. 

Per alcuni questo evento è passato un po' sotto silenzio, per altri che si sono lasciati coinvolgere è stata un'esperienza sorprendente: donando un poco abbiamo ricevuto molto, l'accoglienza arricchisce e ci fa scoprire che non tutto va sempre male ed il prossimo anche se sconosciuto può non farci paura.

Ricordiamolo per una prossima occasione, perchè per noi cristiani (come in realtà per gli ebrei, i musulmani e per molte altre religioni) l'ospitalità e l'accoglienza dovrebbero essere uno stile di vita... ma, come avviene per tutta la Chiesa, siamo sempre in un cammino di conversione

 P.s.: Per le meditazioni di frère Alois vai a: http://www.taize.fr/it_article14956.html ; per il suo saluto al Santo Padre ed il Discorso del papa Benedetto XVI ai giovani in occasione del 35° incontro europeo vai a: http://www.taize.fr/it_article15068.html .

sabato 5 gennaio 2013

Il sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione: premesse corrette, ma le conseguenze ?


Nell’ottobre scorso un’assemblea di vescovi provenienti da tutto il mondo presieduta dal Papa ha discusso di “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. Benedetto XI ha correttamente sottolineato come “la nuova evangelizzazione debba essere orientata principalmente alle persone che, pur essendo battezzate, si sono allontanate dalla Chiesa, e vivono senza fare riferimento alla prassi cristiana”. Ha poi aggiunto che “Il cristiano non deve essere tiepido”, osservando come “Solo in questo accendere l’altro attraverso la fiamma della nostra carità, cresce realmente l’evangelizzazione, la presenza del Vangelo, che non è più solo parola, ma realtà vissuta”. Non vi sono quindi più popoli, masse da evangelizzare ma persone alle quali annunciare il Vangelo e proprio a partire dai c.d. Paesi di religione cattolica.
Sulla scia delle parole del Papa l’assemblea ha convenuto circa la necessità di considerare cuore e segreto della nuova evangelizzazione “l’assoluta centralità dell’esperienza personale e comunitaria con il Signore risorto”. Nel Messaggio finale i vescovi si richiamano al racconto evangelico della samaritana e osservano che “la Chiesa sente di doversi sedere accanto agli uomini e alle donne di questo tempo, per rendere presente il Signore nella loro vita, così che possano incontrarlo, perché lui solo è l’acqua che dà la vita vera ed eterna”.
E’ un’immagine molto bella che, per divenire realtà, sembra richiedere un rinnovamento profondo della Chiesa. I singoli credenti devono chiedersi come possono diventare testimoni del Vangelo ma occorre anche interrogarsi su quale immagine la Chiesa nel suo complesso offra oggi concretamente di sé, come la sua presenza e il suo ruolo vengano percepiti dalle persone alle quali si rivolge l’opera di evangelizzazione, a partire da quelle che vivono nei Paesi occidentali.
Nei Paesi di antica tradizione cristiana sembra prevalere il profilo istituzionale della Chiesa: un’organizzazione sociale complessa che dialoga e si relaziona con le altre organizzazioni sociali e con il potere civile. Della Chiesa traspare soprattutto la volontà di garantire la coerenza delle strutture sociali, della legislazione, del costume e della cultura con i fondamenti della fede cristiana. Questa almeno appare la preoccupazione più evidente delle gerarchie ecclesiastiche che sembrano così privilegiare un approccio dall’alto al problema dell’evangelizzazione. Vi è poi, certamente, un approccio dal basso al tema dell’evangelizzazione che vede protagoniste innanzitutto le parrocchie e poi le associazioni e i movimenti ecclesiali ma che, almeno sul piano della comunicazione pubblica, è sovrastato e messo in ombra dall’approccio dall’alto prima descritto.
Attraverso l’approccio dall’alto le gerarchie ecclesiastiche, utilizzando la posizione di peculiare rilievo sociale che la Chiesa ha progressivamente assunto nella sfera pubblica (si pensi ai concordati), tentano di condizionare le soluzioni da dare ai principali problemi etici e sociali propri della società contemporanea. In tal modo la Chiesa propone un’immagine di sé che affonda le proprie radici in una storia ormai remota, configurandosi come un articolato sistema dottrinale, etico e sociale proteso a fornire una legittimazione morale dei costumi e della legislazione. Certo, rispetto al passato, la Chiesa non pretende più di porsi come unica fonte di legittimazione, come depositaria in via esclusiva di verità che devono essere da tutti riconosciute, non potendo, in una società democratica, che agire alla stregua di un’istanza, per quanto peculiare, tra le altre, in grado di influenzare i poteri politici e sociali in misura diversa a secondo dei contesti nazionali.
E’ questa, ad esempio, la linea scelta dalla Chiesa italiana per l’affermazione dei c.d. valori non negoziabili a livello sociale e politico e della legislazione. La sfida della nuova evangelizzazione induce oggi a fare un bilancio, proprio in questa prospettiva, di tale scelta che ha delle evidenti ricadute anche sul piano pastorale.
L’intervento nel dibattito pubblico della Chiesa ha verosimilmente influito su determinate scelte e, soprattutto, su alcune “non scelte” del legislatore. In materia di fecondazione assistita la legislazione nazionale è estremamente rigorosa e, di fatto, rende estremamente complicato il ricorso a tale pratica. In Italia manca qualsiasi forma di regolamentazione delle convivenze tra persone omosessuali, non è stata adottata una legislazione in materia di fine vita e le procedure di divorzio sono, anche a causa dello stato complessivo della giurisdizione, estremamente lunghe e complesse. La legislazione in materia di aborto attribuisce, almeno sulla carta, una certa considerazione al nascituro e intende assicurare ad ogni donna il diritto a mettere al mondo i figli concepiti. Sempre riguardo all’aborto, la legislazione sancisce il diritto all’obiezione di coscienza del personale sanitario e riconosce un ruolo alle associazioni volte a tutelare la maternità, al fine di evitare che l’interruzione della gravidanza sia frutto esclusivamente della disperazione o dell’indigenza. La legislazione in materia di sostegno alle famiglie è tradizionalmente carente e assicura livelli di tutela decisamente inferiori rispetto a quelli garantiti da numerosi Paesi europei.
A fronte di tali risultati, nell’insieme non particolarmente significativi, occorre considerare quali reazioni determina una siffatta linea di condotta del  magistero. Le decise e ripetute prese di posizione delle gerarchie ecclesiastiche sono avvertite come indebite interferenze da vasti settori del mondo laico. Gli interventi di natura politica del magistero, in quanto esplicitamente volti a condizionare l’operato dei rappresentanti politici e a promuovere ovvero a scongiurare l’adozione di determinati provvedimenti legislativi, delimitando il perimetro delle forze politiche autorizzate o professarsi di ispirazione cattolica, determinano una presa di distanza di molte persone dalla Chiesa e l’abbandono o comunque il rifiuto delle pratiche della fede. La contestazione nei confronti della Chiesa ha ad oggetto non solo il merito ma anche il metodo utilizzato, ritenendo che vengano lesi la laicità dello Stato e i principi democratici. Oggetto di contestazioni non sono il diritto della Chiesa di pronunciarsi su questioni attinenti alla morale dei propri fedeli e di promuovere i propri valori nella sfera pubblica ma la pressione di natura etica esercitata sui responsabili della cosa pubblica e gli interventi diretti a condizionare specifiche scelte di carattere politico. Chiaramente orientata in tale direzione è stata, ad esempio, la condotta delle gerarchie ecclesiastiche in occasione della discussione pubblica e delle scelte di ordine legislativo relative alla fecondazione assistita. E’ sufficiente ricordare le prese di posizione in ordine ad aspetti particolari della normativa quali il numero degli embrioni da impiantare e la facoltà o meno di ricorrere alla diagnosi pre-impianto sino alla sollecitazione ad astenersi dalla partecipazione al referendum abrogativo. Le critiche possono risultare eccessive e, in taluni casi, appaiono il frutto di un pregiudizio anticlericale, ma non vi è dubbio che simili interventi del magistero appaiono poco in sintonia con la sensibilità di società laiche e pluraliste.
A riguardo vi è da chiedersi se, proprio al fine di promuovere una nuova evangelizzazione, non sia opportuno ribadire l’impostazione fatta propria dal Concilio Vaticano II che assegna al magistero il compito di esprimersi in materia di fede e di enunciare i principi di carattere morale, ma affida poi ai fedeli laici la responsabilità di individuare in autonomia, tenendo conto dei particolari contesti politici e sociali, le soluzioni pratiche ispirate ai valori cristiani. Adottare un simile atteggiamento farebbe tra l’altro emergere con ancora maggiore evidenza come, tra gli stessi cattolici, la condivisione di determinati valori non esclude visioni parzialmente diverse di determinati problemi di natura etica. In tal modo il dibattito pubblico verrebbe effettivamente arricchito ed i cattolici avrebbe probabilmente un ruolo più rilevante e significativo nel delineare soluzioni in grado di acquisire la maggioranza dei consensi in società caratterizzate da un marcato pluralismo.
L’adesione all’impostazione conciliare del rapporto tra magistero e responsabilità dei fedeli laici implicherebbe inoltre la scelta di fare affidamento sulle concrete esperienze di testimonianza e di affermazione dei valori cristiani relativi al rispetto e promozione della vita, alla tutela della famiglia, alla solidarietà con i deboli promosse da una pluralità di realtà e da migliaia di credenti e che costituiscono il più potente strumento di evangelizzazione perché fondato sul concreto esercizio della carità. Emergerebbe tra l’altro, al di là delle affermazioni di principio, la difficoltà che la stessa Chiesa incontra nel promuovere un’efficace pastorale familiare, con particolare riferimento alle persone separate e divorziate e a quelle risposate nonché ai rispettivi figli, che sperimentano spesso una condizione di emarginazione rispetto alla comunità ecclesiale. La stessa solidità dei matrimoni cristiani appare messa in crisi, assai più che dalle decisioni e dalle omissioni dei governanti, dalla debolezza dell’annuncio e dalla difficoltà che la stessa comunità ecclesiale incontra nell’ educare alla relazione, all’amore oblativo, alla responsabilità, all’autonomia, ad una affettività autentica, in modo da rendere le famiglie luoghi di effettiva promozione e crescita delle persone.
L’affermazione di uno stile schiettamente evangelico nell’affermazione dei valori cristiani non potrebbe che recare benefici alla Chiesa, non solo e non tanto sotto il profilo dell’immagine ma in quanto determinerebbe una ridefinizione, in concreto, delle priorità e della pastorale nel suo complesso. Nel corso della drammatica vicenda di Eluana Englaro, la testimonianza evangelica più efficace è venuta da quelle suore che, sino a quando la famiglia ha voluto, si sono prese cura di lei, e non certo dai gruppi di cattolici fondamentalisti che hanno organizzato manifestazioni di piazza dando dell’assassino al padre di Eluana.
L’urgenza di una nuova evangelizzazione impone di riflettere sull’immagine focalizzata sui pronunciamenti di carattere morale che i mezzi di comunicazione di massa diffondono della Chiesa nonché, e si tratta di un altro aspetto delicatissimo, sull’applicazione del regime concordatario, dalla disciplina dell’insegnamento della religione cattolica, al regime delle imposte sugli immobili sino all’autonomia riconosciuta agli istituti bancari della Santa Sede. La centralità attribuita a questi aspetti offusca il volto più vero della Chiesa costituito dalla testimonianza di fede offerta da tanti credenti di ogni condizione sociale nei contesti più disparati, dalle forme di spiritualità che corrispondono a bisogni fondamentali della contemporaneità, dalle molteplici espressioni di servizio al prossimo proprie delle realtà parrocchiali, dalle esperienze di solidarietà e di tutela dei più deboli che connotano il tessuto ecclesiale.
Ancora una volta si rivelerebbe di aiuto riprendere la discussione conciliare sulla povertà della Chiesa e sull’opportunità di rinunciare ad ogni privilegio o, comunque, ad ogni condizione avvertita come tale dalla pubblica opinione, al fine di assicurare una reale priorità all’essenza del messaggio cristiano e di fare risuonare più forti e credibili le parole del Vangelo “beati i poveri…”.  

venerdì 28 dicembre 2012

"Il cristiano di fede adulta e matura non è colui che segue le onde della moda, ma colui che vive profondamente radicato nell’amicizia di Cristo"


"... contro un diffuso relativismo che nulla riconosce come definitivo e anzi tende ad erigere a misura ultima l’io personale e i suoi capricci, noi proponiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, che è anche vero uomo. È Lui la misura del vero umanesimo..."

Questo blog nasce per iniziativa di un gruppo di amici convinti che il Vangelo di Gesù Cristo, quelle parole pronunciate oltre 2000 anni a compimento della storia dell’antico Israele, rappresentino una risposta alle attese ed alle angosce delle donne e degli uomini del nostro tempo.

Constatiamo, tuttavia, che questa buona notizia fa oggi terribilmente fatica a risuonare come tale e che occorre trovare forme e modi nuovi per vivere e comunicarla nella società post moderna. Nella seconda metà del XX secolo la storia ha subito un'accelerazione impressionante che ha fatto e fa apparire le religioni e le fedi come retaggi del passato, espressioni di tradizioni impegnate a difendere una concezione statica della vita e dei rapporti sociali. Quello attuale è un mondo propenso a fidarsi esclusivamente della razionalità della ragione, fondato sul pensiero scientifico e incline a relegare il sacro nella sfera dell’irrazionale, del mito, in una parola del pre moderno.

In particolare, ciò che sembra privare le esperienze religiose di attualità è la loro asserita pretesa di omologare i comportamenti e le scelte di vita delle persone, di indicare delle strade uniformi di affermazione dei valori umani fondamentali a livello individuale e collettivo. All’opposto, la caratteristica forse più evidente della società in cui viviamo è proprio l’affermazione dell’individuo, della libertà e dei diritti individuali come obiettivo fondamentale e prioritario al quale orientare le dinamiche sociali e subordinare ogni altro tipo di valutazione.
Per dirla in parole semplici, alle religioni viene imputata la negazione dell’autonomia degli individui, la pretesa di limitare la libertà delle persone sulla base di valori che si vorrebbero trascendenti ma che altro non sono se non regole provenienti da culture del passato, intrise di pregiudizi e prive di razionalità.
La secolarizzazione non è un fenomeno banale e non si può liquidare con poche battute, ma richiede un confronto ed un approfondimento estremamente serio e puntuale. Tutte le fedi, tutte le Chiese devono accettare la sfida, sostanzialmente positiva, che proviene loro dalla post modernità.

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, nella quale ci riconosciamo, il punto di partenza, il presupposto fondamentale per cimentarsi con la contemporaneità è  rappresentato dal Concilio Vaticano II, un evento per molti aspetti unico nella storia della Chiesa, risalente oramai a cinquant’anni fa ma che ha saputo definire con chiarezza i caratteri fondamentali e gli obiettivi della Chiesa del futuro.

Il Concilio, si è rivelato capace di guardare lontano e di fornire risposte prima che le dinamiche della secolarizzazione risultassero a tutti evidenti e rappresenta pertanto un tesoro prezioso che non va messo sottoterra ma speso con generosità e coraggio perché possa dare frutto.

Ma cosa ha voluto dire ai cattolici, ai cristiani, a tutti i credenti e al mondo intero il Concilio? Consentitemi l’arbitrio di una sintesi, per quanto incompleta e sicuramente contestabile.

Un primo messaggio fondamentale riguarda il rapporto con la contemporaneità. Al mondo, ai cambiamenti sociali, culturali, politici occorre guardare con fiducia e speranza, è necessario comprendere e non condannare, aprirsi al nuovo e non arroccarsi nella tradizione.

Il concetto è stato espresso mirabilmente dal papa Paolo VI proprio nel discorso conclusivo del Concilio che riflette tutto l’entusiasmo e il dinamismo di cui quell’assise era pervasa: “Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo moderno. Mai forse come in questa occasione la Chiesa ha sentito il bisogno di conoscere, di avvicinare,di comprendere, di penetrare, di servire, di evangelizzare la società circostante e di coglierla, quasi di rincorrerla nel suo rapido e continuo mutamento.”  Queste parole, che non manifestano un ottimismo ingenuo ma indicano la strada da percorrere alla Chiesa del futuro, possono essere meglio comprese se accostate a quelle di Giovanni XXIII, il papa che ebbe il coraggio di convocare il Concilio, quando metteva in guardia dai “profeti di sventura” e osservava che “non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”.

Questo sguardo sul mondo proprio del Concilio è declinato da tutti i documenti conciliari, segnando un rinnovamento fondamentale nella storia della Chiesa..

La Gaudium e spes è la costituzione conciliare che riguarda specificamente il rapporto della Chiesa con il mondo contemporaneo e chiama i cristiani a condividere le ansie e le speranze degli uomini d’oggi, compiendo un’analisi attenta delle potenzialità e dei rischi della storia presente e invitando a coinvolgersi  ed a partecipare ai processi storici positivi di crescita e di liberazione dell’uomo.

In numerosi documenti conciliari il rapporto con gli “altri” viene profondamente ripensato.  Il Concilio segna la riconciliazione con gli ebrei quando, sino al 1959, il Venerdì santo, in tutte le chiese si pregava pro perfidis Iudaeis.  Afferma, segnando una netta discontinuità con la storia pregressa della Chiesa, il valore della libertà religiosa e affronta con un’apertura senza precedenti il tema dei rapporti con le religioni non cristiane.  Infine, fa dell’ecumenismo, ossia dell’unità dei cristiani sulla base del mutuo riconoscimento e del rispetto reciproco, un obiettivo irrinunciabile al quale la Chiesa deve tendere con tutte le sue forze.

Durante il Concilio emerge anche una nuova visione della stessa Chiesa, intesa non più solo prevalentemente nella sua dimensione istituzionale e giuridica ma, in primo luogo (questa appare almeno la definizione maggiormente innovativa della Chiesa), come popolo di Dio in cammino, secondo una visione che mette al centro l’esperienza di fede personale e comunitaria.

Ma, forse, ancora più innovativo o, meglio, alla base di tutte le riforme conciliari, è la riscoperta e la nuova centralità attribuita alla parola di Dio nella vita della Chiesa e dei singoli credenti. Fino ad allora la lettura personale della Bibbia era considerato un tratto tipico del protestantesimo e guardata con diffidenza nell’ambito della Chiesa. Il primato della Parola tra le “fonti della rivelazione” finisce anche per condizionare la visione stessa della tradizione e del magistero.

Un passaggio della costituzione conciliare “Dei verbum”, riflette bene questi germi di un profondo cambiamento introdotti nel corpo ecclesiale dal Concilio: “”Questa tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse,sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (Lc 2,19 e 51), sia con l’intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio”.

Le parole evidenziate esprimono una concezione dinamica e non statica dell’esperienza di fede personale e comunitaria. La verità sta sempre davanti alla Chiesa, che la cerca incessantemente, che ad essa si avvicina, che in essa progredisce attraverso l’esperienza di tutti i credenti sotto la guida dei pastori. Ma la stessa Chiesa, che in tal modo risulta tra l’altro associata all’umanità anch’essa in ricerca e in continuo sviluppo, questa verità non la possiede in modo perfetto e indefettibile. 

La verità è Cristo che conosciamo attraverso la Parola ed al quale dobbiamo fare costantemente riferimento cercando di comprendere sempre meglio quale sia la volontà del Padre.

I credenti vivono nella storia, condividono le esperienze di tutti gli uomini, soffrono e gioiscono con loro. Ogni generazione è chiamata a comprendere meglio il Vangelo, a viverlo rendendolo attuale ed effettivamente in grado di comunicare una buona notizia ai propri contemporanei.

Vivere il Vangelo nella storia vuol dire fare i conti con i cambiamenti culturali, con il progresso scientifico, con l’evoluzione dei rapporti sociali e degli stili di vita. La Chiesa e i cristiani non devono avere paura e chiudersi in una sorta di cittadella fortificata ma, all’opposto, secondo un'altra famosa espressione conciliare sono impegnati ad interpretare “i segni dei tempi”, dei mutamenti e delle trasformazioni, perché le parole di Cristo non passano ma le concrete realizzazioni storiche, parti della tradizione e della dottrina possono e debbono essere riviste alla luce di un cammino comune che i cristiani compiono con tutti gli uomini.
Solo così , verrebbe da dire, si rimane realmente fedeli al Vangelo, mentre può esservi infedeltà nel rimanere legati al passato per incapacità di aggiornamento e di ascolto dell’altro, tradendo in tal modo una verità che va incarnata e vissuta nella storia.

Anche un blog può essere di aiuto a vivere un’esperienza matura di fede e di Chiesa, ad assumersi le proprie responsabilità di credenti, a comunicare e a condividere la propria esperienza di fede, la propria visione dei problemi con chi lo desidera. 

Un altro grande tema del Concilio è stato quello del ruolo dei laici nella Chiesa ed il blog è intende mettersi a servizio della laicità e mettere la laicità a servizio della Chiesa.
Gli Atti degli apostoli descrivono la vita della prima comunità cristiana: il ritrovarsi insieme, lo spezzare il pane, l’accogliere nuovi membri della comunità. Oggi un blog è un modo in cui si può fare comunità, incontrarsi e capirsi, aprirsi al dialogo e al confronto con altre persone di idee diverse.


sabato 15 dicembre 2012

Gli incontri con Don Enrico

In questa settimana ha compiuto 100 anni Don Arturo Paoli che ha voluto gratificare i suoi amici con una bellissima lettera di ringraziamento per gli auguri che ha ricevuto da moltissime persone che lo amano
Mi ha colpito in questa lettera la sua preoccupazione per la frammentazione del mondo e il suo invito a cercare di superarla incontrandosi ....

" ... vorrei chiudere questi pensieri con alcuni suggerimenti che sottometto alla vostra critica. Il primo è quello di contrastare la frantumazione egoistica prodotta dagli strumenti della tecnica, con l’appello a incontri di gruppo che abbiano motivazioni politiche, religiose o di altro genere. Favorire queste riunioni motivandole con argomenti che possano interessare. Trovare tutto quello che può favorire il superamento della frantumazione egoistica. Volere a tutti i costi il rinnovamento di questa società che sembra immersa in una palude...."

Mi ha colpito perché anche se non con questa consapevolezza rispetto ad un fenomeno planetario, è un pò di tempo che con un gruppo di amici ci riuniamo insieme a Don Enrico per riflettere sulla Parola, per confrontarci, per curare e conservare e non far frantumare lo spirito e la condivisione di vita che c'era stata fra di noi

La storia è lunga ma penso che l'invito di Don Arturo sia stato l'ultimo degli stimoli che ci mancava per aprire questo blog che vuole essere un modo di condividere le riflessioni e il commino che questo piccolo gruppo di persone ha cominciato a fare

il cammino comincia ......